La veneratissima statua in legno a mezzo busto è giustamente ritenuta un capolavoro di arte e di fede. Ciò che colpisce subito chi la guarda è l’espressione divina degli occhi e il volto luminoso da cui traspare un sentimento di intima gioia. L’autore della insigne e prodigiosa scultura fu Fra Umile Pintorno da Petralia che scolpì l’immagine intorno al 1630 in legno di tiglio dipinta al naturale e ricavata da un tronco abbattuto da un tuono. La statua raffigura Gesù flagellato e coronato di spine.
Secondo la leggenda riportata dal Padre Guagnano Nitti, nell’opuscolo “Sul Convento del S.S. Ecce Homo in Mesoraca” (Roma 1913, a pag. 23-24), si racconta: “Dicesi adunque, che giunto frat’Umile nel convento dé riformati di Mesuraca, chiese ed ottenne una cameretta isolata, lontana da ogni rumore, nel dormitorio inferiore.
Ma neppur quello poteva essere il luogo atta al effigiare Gesù in uno dé momenti più affascinanti della sua passione; poiché le visite dé frati e dé gentiluomini mesurachesi distoglievano il pio artista dalle sue profonde meditazioni. E allora si rinchiuse nell’ampio sotterraneo ch’è in chiesa, avanti l’altar di San Pasquale, dove, forse, in quel tempo si conservavano le reliquie dé religiosi morti in fama di santità, e che in appresso fu indegnamente ridotto a sepoltura comune.
Lì fra Umile abbozzò la statua, e poi in ginocchio cominciò a modellarla su l’esemplare divino ch’ei teneva presente nella mente e al cuore, nella contemplazione del quale disfacevasi in copiosissime lacrime.
Il giorno in cui doveva dare gli ultimi tocchi al bel volto appassionato dell’Ecce Homo, il santo religioso si comunicò, e scese tutto solo nella stanza sotterranea. Vi rimase l’intera giornata in ginocchio, toccando e ritoccando la sua opera. Ma gli occhi non prendevano mai l’espressione del tipo ideale veduto nelle ore di meditazione. E fra Umile pregò allora fervidamente gli angeli suoi tutelari, perché l’aiutassero a compiere quell’immagine del buon Gesù, ch’egli peccatore aveva indegnamente osato di scolpire.
E gli angeli accolsero l’umile preghiera del santo artista. Gli angeli diedero l’espressione divinamente bella a quegli occhi; e sono essi che portano ogni giorno, su le loro candide ali, davanti al trono del Padre celeste, le preghiere che si effondono innanzi la statua del S.S. Ecce Homo”.
L’espressione vera della sofferenza e del corpo flagellato è concentrata sul volto che suscita profonda pietà. Gli occhi aperti e penetranti esprimono un senso di perdono, serenità e amore. Nel 1993, dopo oltre tre secoli e mezzo, la statua fu portata per un restauro a Cosenza e venne esposta in una mostra. Coronò il ritorno della venerata immagine (15 maggio 1993) al santuario una solenne concelebrazione all’aperto, nel piazzale antistante la chiesa, colmo di fedeli accorsi per il suo rientro. La devozione al S.S. Ecce Homo crebbe e si diffuse in breve tempo; le cronache registrano grazie e miracoli ottenuti dalla fede dei tanti devoti.